Campionato Italiano Offshore: riflessioni al “termine” di un’impresa
Alla fine di ogni esperienza importante arriva il momento dei bilanci e delle riflessioni, il momento in cui si può guardare il punto di partenza, tutte le miglia percorse, i compagni di viaggio, l’equipaggio, la scia della propria barca e con le cime ormai in banchina tirare le somme e pensare serenamente al proprio viaggio e al bagaglio accumulato. Come persona al comando di questa esperienza, come membro del consiglio direttivo dell’Associazione, sento la necessità di esprimere i miei pensieri e le mie riflessioni.
La partecipazione dell’Associazione Diversamente Marinai a una serie di regate del Campionato Italiano Offshore è nata fondamentalmente dall’unione di due componenti essenziali: la consapevolezza di avere nella testa e tra le mani una idea importante e una buona dose di sana ed entusiastica follia.
Il nostro motto “se non tutto è possibile, molto dell’impossibile lo è” racchiudeva – e alla fine ha confermato – pienamente il senso della nostra esperienza.
Forse siamo partiti in ritardo rispetto alla programmazione che un progetto come questo richiede ed esserne arrivati degnamente alla fine è merito di tutto l’impegno che i soci e i partecipanti hanno profuso a piene mani. Per una realtà ancora piccola come Diversamente Marinai non sarebbe potuto essere altrimenti, per cui mi sembra doveroso, prima di fare alcune riflessioni sul progetto, ringraziare tutti coloro i quali hanno contribuito alla sua riuscita.
Primo fra tutti voglio ringraziare la barca: Gwaihir, che non ha mai fatto sentire a disagio o insicuro il suo equipaggio: una barca, una signora barca, che armata e attrezzata a dovere per questo tipo di navigazioni di altura ora resterà a disposizione dell’Associazione e di tutti i suoi soci, pronta per le attività e più sicura che mai.
Il mio equipaggio che in tutte le condizioni di mare e vento ha combattuto con la grinta e la voglia di non cedere mai, di non mollare un miglio sia nelle burrasche che nelle struggenti e alienanti calme di vento in cui la nostra barca soffriva di più: Marco, Tommaso, Marco, Matteo, Giuseppe, Pasquale, Eleonora, Alberto, Mario, grazie ancora anche per avermi sopportato, so che ognuno di voi porterà nel cuore il senso profondo di questo progetto e l’emozione intima dei suoi momenti, è grazie a voi se questa storia può essere raccontata, se tutte le volte siamo rientrati in porto con la barca intera, senza aver rinunciato e avendo dimostrato che era possibile, se negli occhi prima di tutto degli altri equipaggi abbiamo potuto leggere il rispetto che chi va per mare riconosce agli altri – come suoi pari.
Un grazie ai nostri partner istituzionali e ai nostri sponsor, voi che avete deciso come ha detto qualcuno di “sostenere anche l’equipaggio che sarebbe arrivato ultimo”, perché avete capito in pieno che il senso di tutti i vostri e i nostri sforzi non sarebbe stato, almeno per questo anno, la posizione sulla linea di arrivo, ma essere lì in partenza e possibilmente all’arrivo sulle banchine, a portare il senso di un’idea, a provare ad alzare il livello di sfida sociale che il tema della disabilità e dell’integrazione ci chiede, a testimoniare che le sinergie collettive creano risultati importanti e per provare a farlo in modo non sporadico ma continuativo e convinto: LNI Livorno, CIP Toscana, Comune di Porto Azzurro, Montura, Acqua dell’Elba, Caffè New York, Gottifredi & Maffioli, La Barrocciaia Livorno, Ullman Sail, grazie!
Un ringraziamento a tutti i Circoli e Yacht club organizzatori della regate che, in modo diverso ma sempre in maniera aperta e disponibile, hanno dato visibilità al Progetto.
Vi ho messo per ultimi ma solo perché mi date la possibilità di spaziare con il discorso e perché senza di voi nulla di tutto ciò avrebbe avuto senso: voi che avete creduto e partecipato al nostro crowdfunding permettendoci di presentarci a più regate di quelle che avremmo potuto sostenere da soli, e voi tutte e tutti che ci avete seguito, stimolato. Senza di voi questa idea si sarebbe indebolita, arenata e avrebbe perso dopo poco il suo valore. E’ grazie alla risonanza e al vostro interesse e sostegno entusiasta che lottare giorni e giorni in mare, ritrovarsi coperti di sale o “morire” di tedio nelle bonacce hanno avuto un senso.
Anche approdare nei prestigiosi yacht club che hanno caratterizzato molti degli arrivi non avrebbe avuto senso se fossimo stati da soli; portare il messaggio di tutti, arrivarci insieme a voi, anche se stanchi, sporchi e salati, è sempre stata la conferma di essere sulla strada che volevamo percorrere, la dimostrazione che un equipaggio composto da disabili e da normodotati può raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi, che non bisogna eliminare le differenze quanto lavorarci insieme, che questo è stato un fantastico progetto delle possibilità e che – onestamente – il lavoro da fare è ancora tanto e noi lo abbiamo “solo” incominciato.
Più sopra ho scritto che tutto è partito da quell’idea forte, in cui crediamo molto, che costituisce in realtà l’ossatura portante, il manifesto della nostra associazione: cooperazione tra persone e integrazione delle differenze perché diventino opportunità e non ostacoli. Con questa avventura, con questo progetto, abbiamo voluto portare quell’idea sui campi di regata, darne a noi stessi e agli altri una prova concreta, assaporare e creare un equipaggio che sentisse appieno questa possibilità, che la cooperazione tra disabili e non disabili a bordo porta a galla potenzialità inespresse e tutte da scoprire. Abbiamo voluto confrontarci con navigazioni impegnative, con regate d’altura, con il mare aperto, convinti che si debba riuscire a guardare orizzonti sempre liberi nel costruire queste possibilità. Da navigatore, marinaio e disabile ammetto che è stato un impegno duro e al tempo stesso importante ed emozionante, una possibilità “altra” data a me stesso, a noi e agli altri.
Come avviene a bordo quando i ragazzi normodotati, guardandoci mentre siamo i loro “istruttori” e spieghiamo loro i rudimenti della vela, scoprono un altro modo di muoversi, e si può percepire lo stupore e il piacevole allargamento degli orizzonti, in questo progetto è stato per me uguale lo stupore di vedere un buon equipaggio crescere e migliorare giorno dopo giorno, alimentando la voglia di continuare, e l’emozione che ho provato – e provo – se penso che con il nostro “piccolo grande” esempio altre persone con disabilità possano sentirsi stimolate a cercare in se stesse, fino a trovarle, le motivazioni per le loro piccole o grandi “navigazioni” quotidiane. Mi accorgo che i miei stessi orizzonti si stanno piacevolmente allargando, lascio che accada, e questo è il pensiero più ricorrente che mi accompagna e che lego a questa esperienza che in pochi, intensissimi, mesi mi ha cambiato, cresciuto.
Ripensando al nostro percorso, vedo un equipaggio che mese dopo mese, regata dopo regata, è diventato più “marino”, più unito, più convinto dei propri mezzi e capacità. La prua formava nuovi prodieri pronti a lanciarsi in cambi di vele e manovre apprese e perfezionate man mano, il pozzetto iniziava a sentire più che vedere e trovava armonia e sincronia. Le differenze di tecnica, esperienza, modalità sono servite agli altri come spunto e occasione per conoscere, testare, sperimentare, imparare. In una parola: migliorare.
Nel complesso l’equipaggio è stato composto in parti uguali da disabili e non disabili, e la presenza di marinai con disabilità non è mai scesa sotto il 40%, anche quando – per problemi imprevisti – le defezioni si sono manifestate a pochissimi giorni dalla partenza. Quando necessario, abbiamo affrontato regate anche in cinque, senza tirarci indietro e cercando sempre onestamente di rispettare gli accordi presi con tutti voi e con noi stessi.
Per provare a trasmettere la consapevolezza di crescita e di bellezza che ho del nostro equipaggio, ora che siamo con i piedi per terra e che questa esperienza volge al termine, ho nella mente e negli occhi 3 semplici immagini che voglio condividere:
“Roma per tutti”, la prima regata, siamo in cinque a bordo, a pochi minuti alla partenza, procediamo verso la linea virando e strambando insieme alla flotta e in uscita da una virata si strappa il genoa. Un attimo di silenzio, un istante di imbarazzo che viene spazzato via dall’azione di un intero equipaggio, uniti e coordinati come dopo anni e migliaia di miglia insieme. In due, poche bracciate ma energiche, ammainano e piegano la vela. Intanto, un altro è già sottocoperta pronto a riporre la vecchia e passare la nuova, timoniere e randista fanno il possibile per restare a contatto con la flotta. In 5 minuti armiamo e issiamo un vecchio genoa senza più forma, non certo potente come l’altro ma l’importante è che abbiamo una vela di prua che ci porta fino all’arrivo, quasi 700 miglia più tardi. C’è voluto un errore per fare un equipaggio.
In regata alla “151 Miglia”, navighiamo nel silenzio dell’alba al largo dell’Elba, 14 nodi di vento, spinnaker e randa piena, turno a equipaggio ridotto. Senza parole di troppo, chiamo la strambata, sono al timone e posso osservare tutto: l’equilibrio di chi in pozzetto senza vedere gestisce le scotte, la maestria di chi a prua fa il suo dovere senza svegliare chi è di riposo.
La “Palermo-Montecarlo”, ultima ma non certo per fatica, la bellezza di tagliare in due il Tirreno, da sud a nord. Siamo al largo, solo acqua in vista, 3 metri d’onda, 25 nodi di vento con raffiche a 30, sia di giorno che di notte. La barca risale di bolina, una mano e genoa rollato quasi per metà, si soffre e si lavora nell’alternanza sonno-veglia di turni serrati (2 ore on, 2 off). E’ dura, bisogna anche scegliere dove dormire rispetto allo sbandamento della barca, nessuno pensa mai un momento di mollare. Responsabilità, impegno, sicurezza dell’equipaggio e della barca sempre garantiti insieme alla costante ricerca della massima velocità. La voglia di restare concentrati, senza perdere buonumore, autoironia, voglia di sostenere l’altro nella difficoltà.
Che progressione per questo gruppo di ragazzi che si sono alternati in queste regate, un nucleo fondante e un equipaggio che vi ha ruotato intorno.
Nel nostro percorso siamo cresciuti molto, sia tecnicamente come equipaggio che come Associazione, abbiamo affinato le nostre conoscenze e le nostre sensibilità, abbiamo imparato le reali necessità di alcune disabilità durante una stancante regata d’altura: sarebbe un peccato non valorizzare anche nel futuro tutte queste esperienze, ma la strada per crescere e migliorare è sempre tanta. Noi siamo pronti a continuare, ma arrivare sempre in coda al gruppo rischia di trasmettere un messaggio alla lunga fuorviante. Stiamo lavorando per crescere, anche sotto il profilo dei risultati.
Perché cosi come ogni viaggiatore appena rientrato da un viaggio ha già in mente la prossima partenza, allo stesso modo ogni equipaggio che si rispetti finita una stagione di regate pensa già alla prossima.
Noi ci stiamo già pensando e siamo alla ricerca di nuovi compagni di viaggio, di nuovi mezzi e di una barca più competitiva… le mete le decideremo insieme.